Fast Fashion nel mirino dell’Antitrust: è la volta di Shein

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Avv. Giuseppe Croari – Dott.ssa Ilenia Lanari
www.fclex.it

È di questi giorni la notizia dell’apertura da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (meglio nota come Antitrust) di un’istruttoria a carico di Shein, il colosso cinese del Fast Fashion.

Nello specifico, secondo l’Antitrust “potrebbero essere ingannevoli/omissivi i messaggi promozionali presenti sul sito web italiano shein.com relativi alla sostenibilità ambientale dei capi di abbigliamento a marchio Shein” (Comunicato stampa PS12709 del 25 settembre 2024).

Questa istruttoria fa seguito al notevole accrescimento della sensibilità dei consumatori sul tema della sostenibilità ambientale, soprattutto dopo l’adozione della direttiva “Green Claims”, la quale ha altresì posto l’attenzione sulle pratiche di marketing adottate dalle società.

Il fatto

Lo scorso 25 settembre l’Antitrust, attraverso il suddetto comunicato stampa, dava notizia dell’avvio di un’istruttoria a carico di Shein. In realtà, come specificato meglio dalla stessa Autorità, l’istruttoria è stata avviata nei confronti della società Infinite Styles Services CO. Limited, società con sede a Dublino che gestisce il sito web di Shein in Italia, “per la possibile ingannevolezza di alcune affermazioni ambientali contenute nelle sezioni “#SHEINTHEKNOW”, “evoluSHEIN” e “Responsabilità sociale” del sito shein.com”.

Infatti, secondo quanto stabilito dall’Autorità, le affermazioni promozionali contenute nelle sezioni indicate sarebbero vaghe e confuse e, quindi, tali da indurre i consumatori in errore circa la “circolarità” e la qualità dei prodotti.

A questa prima accusa si aggiunge anche quella relativa alla presenza, nella sezione “evoluSHEIN”, di una collezione di abbigliamento dichiarata sostenibile, ma che in realtà non fornirebbe reali informazioni sulla quantità delle fibre ecologiche concretamente usate.

Inoltre, sempre secondo l’AGCM, la società enfatizzerebbe inoltre il proprio impegno nel processo di decarbonizzazione delle proprie attività, ma il report sulle emissioni di gas serra per il 2022 e il 2023 smentirebbero i propositi della stessa Shein.

Le contestazioni delle associazioni a tutela dei consumatori
Ovviamente sulla questione non sono tardate le contestazioni delle associazioni a difesa dei consumatori, in particolare del Codacons, di Assoutenti e di Adoc.

Tutte e tre le associazioni sono infatti concordi nel definire la pratica perpetrata da Shein e dalla Infinite Styles Services CO. Limited come “greenwashing”, tacciando dunque le stesse società di aver posto in essere strategie di marketing ingannevoli finalizzate a costruire un’immagine ecosostenibile.

Proprio per questo, le associazioni, oltre a chiedere l’erogazione di una giusta sanzione, spingono affinché venga riconosciuto un risarcimento a tutti gli utenti indotti ad acquistare sulla base di messaggi pubblicitari di Shein, che approfitterebbe della sempre maggiore attenzione verso il tema della sostenibilità per incrementare le vendite dei propri prodotti.

Dal canto suo, la società si è detta pronta a collaborare con le autorità ed ad assicurare il suo impegno a rispettare la normativa vigente nei mercati in cui opera.

Conclusioni

Quanto accaduto si inserisce nel già complesso quadro in cui si è venuta a trovare la società cinese negli ultimi tempi.

Solo ad agosto, infatti, la stessa è stata al centro di un’inchiesta che aveva rilevato la tossicità di alcune sostanze chimiche presenti nei capi di abbigliamento venduti e, anche allora, Shein aveva assicurato il proprio impegno a collaborare con le autorità locali predisposte per la sicurezza dei prodotti e a adeguarsi alle relative normative.

Questa attenzione su Shein è sicuramente dovuta anche al suo inserimento da parte della Commissione europea nella lista delle “very large digital platform”: infatti, in quanto piattaforma di dimensioni molto grandi, la società è tenuta, conformemente alle disposizioni del DSA (Digital Service Act), sia a sorvegliare i suoi prodotti per evitare la diffusione di contenuti illegali sia a rispettare le disposizioni in tema di trasparenza.

Questa novità, unita alla crescente responsabilizzazione dei consumatori in merito alle proprie scelte e ai propri acquisti, ha contribuito a far focalizzare le autorità dei Paesi europei, tra cui la stessa AGCM, sulle attività svolte da questi colossi.

Nell’attesa che l’istruttoria si concluda, non appare remota la possibilità che altre similari procedure vengano aperte nei confronti di altri giganti del Fast Fashion, soprattutto alla luce della stagione legislativa che sta investendo le maggiori piattaforme online.

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